La seconda parte della stagione di Sergio Meris comincerà domenica sulle strade del Medio Brenta. Poi proseguirà sulle salite del Valle d’Aosta dal 13 al 17 luglio. La sua volontà rimane quella di misurarsi in classifica generale, anche se da questo punto di vista il Giro d’Italia potrebbe avergli dato dei segnali decisivi.
Nelle due tappe d’alta montagna, la terza e la sesta, ha incassato rispettivamente 13’45” e 8’08” dai vincitori, ovvero Hayter e Van Eetvelt. Ha chiuso al 17° posto della graduatoria finale, a 18’52” dal britannico. E’ vero che i valori tra gli Under 23 sono costantemente in divenire, ma distacchi del genere non si colmano facilmente.
Sergio, con quali ambizioni avevi cominciato la corsa rosa?
«L’idea era quella di curare la classifica generale senza tuttavia trascurare la possibilità d’essere protagonista nelle varie tappe. Ovviamente, dopo la terza tappa abbiamo dovuto riconsiderare le nostre volontà: il distacco accumulato era già ampio».
Cos’hai capito di te stesso nelle due giornate d’alta montagna?
«Che sulle salite vere, quelle lunghe, quelle dove si delinea la classifica generale, faccio ancora troppa fatica. Non vado bene come vorrei. Nella migliore delle ipotesi rimango coi migliori, ma non ho mai la freschezza necessaria per fare la differenza. Devo continuare a lavorare, non c’è altro da aggiungere».
Nelle frazioni vallonate, invece, ti sei mosso molto meglio: 2° a Peveragno, 5° a Pinerolo.
«La tappa di Peveragno era quella a cui puntavo di più. Ero sicuro d’essere il più forte, sensazione che si rafforzava via via che chiudevo sugli scatti degli altri. Però ho sbagliato a lanciare la volata a 500 metri dall’arrivo: essendo in discesa, praticamente l’ho tirata a quelli dietro. E a venti metri dall’arrivo mi ha sorpassato Gelders, con mio grande rimpianto e dispiacere».
Però rimane l’impressione che percorsi del genere si adattino di più alle tue caratteristiche.
«Per il momento sì, non c’è dubbio. Sui tracciati misti mi trovo più a mio agio, mi muovo bene e non mi manca niente per provare a vincere: posso dire la mia sulle salite di breve e media durata e ho un buon spunto veloce. Però non bisogna sprecare troppe occasioni: e a Pinerolo, per dirne un’altra, ho imboccato il muro troppo distante dai primi. Peccato, ma è tutta esperienza».
In definitiva, ti reputi un corridore da corse a tappe?
«Questo lo dirà il tempo, però le basi potrebbero esserci. Essere entrato tra i primi venti tanto a Santa Caterina Valfurva quanto in classifica generale può voler dire qualcosa. E poi ho notato che recupero molto bene: al Giro mi sentivo abbastanza bene, altrimenti non avrei chiuso l’ultima tappa al quinto posto. Se riuscissi a migliorare sulle lunghe salite, allora il discorso si farebbe interessante».
Cassani sostiene che ai nostri dilettanti servirebbe un confronto internazionale più costante. Sei d’accordo?
«Come si fa a dargli torto? Cassani ha ragione. I miei coetanei stranieri hanno una mentalità diversa, direi più professionistica: sanno come allenarsi da soli, partecipano a poche corse ma buone, sono più abituati allo sforzo ripetuto delle corse a tappe. In Italia si fanno molte gare regionali e nazionali su percorsi modesti. E’ vero che il ritmo lo decidono i corridori, quindi si può fare fatica anche in pianura: ma poi non lamentiamoci se sul Fauniera soffriamo».
Quali grandi appuntamenti estivi hai messo nel mirino?
«Considerando le mie caratteristiche, mi piacerebbe correre da protagonista a Poggiana e a Capodarco. Sono due classiche calde, dure e molto prestigiose: essendo al terzo anno devo anche mettermi in mostra per guadagnarmi il passaggio tra i professionisti».
A tal proposito pensi che Amadori possa coinvolgerti in nazionale?
«Me lo auguro. So che mi segue con attenzione e di questo posso soltanto ringraziarlo. Dopo il 2° posto a Peveragno è venuto a farmi i complimenti. Abbiamo un buon rapporto, ci teniamo in contatto, ma ad oggi non so ancora se parteciperò a qualche grossa corsa come l’europeo o l’Avenir. Inutile dire che mi farebbe piacere, considerando anche i percorsi che verranno affrontati».
Che aria si respira quest’anno nella Colpack? Sentite la responsabilità di riconfermarvi dopo l’eccezionale stagione passata?
«Sapevamo che sarebbe stato praticamente impossibile, corridori come Ayuso e Baroncini non passano tutti i giorni. Un po’ di pressione c’è, è normale, siamo consapevoli di correre in una grande squadra, però devo dire che Valoti e gli sponsor ci lasciano abbastanza sereni. La verità è che stiamo cercando di centrare quel successo che ci permetterebbe di invertire la rotta e di guadagnare fiducia per la seconda parte della stagione».