Franceschi, quanti ricordi con Nibali: «I trionfi, le litigate, la rivalità con Visconti: per me è come un figlio»

Nibali
Carlo Franceschi e Vincenzo Nibali al Processo alla Tappa 2019
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«La prima volta che vidi Vincenzo Nibali – racconta Carlo Franceschi, presidente della Mastromarco, in cui il siciliano ha corso tra i dilettanti – non riuscivo a credere ai miei occhi: lui era un allievo, pelle e ossa, praticamente un bambino, e in questa gara a Siena fece il diavolo a quattro e vinse da solo. Da quel momento in poi iniziammo a parlare, a conoscerci, a lavorare insieme. Una splendida avventura che non si è mai conclusa, se pensate che sua moglie lo scorso fine settimana era qui da noi e che sua figlia mi chiama nonno. E poi Vincenzo mi aveva mandato un messaggio proprio qualche giorno fa».

E cosa ti aveva detto?

«Che martedì a Messina avrebbe fatto un annuncio importante: quello del ritiro a fine anno. Io oggi mi sono emozionato anche se lo sapevo già, ma credo sia la scelta migliore: è stato un campione e per una serie di motivi non riusciva più a brillare come ai bei tempi».

Quali sono le cause, secondo lei?

«Prima il problema alla vertebra dopo l’incidente al Tour, poi la pandemia, infine gli acciacchi degli ultimi mesi. Purtroppo il tempo passa per tutti. Ma com’è passato in fretta…»

Quanti anni è rimasto in casa con voi?

«Sei: due da juniores, due da Under 23 e due da professionista, i primi. Poi si è comprato un appartamento qui a Mastromarco ed è andato a vivere da solo».

Quando ha capito che poteva diventare qualcuno?

«Quand’era juniores. Un anno, al Giro della Lunigiana, di mattina staccò tutti nell’arrivo in salita e di pomeriggio vinse la cronometro. Io, senza dirglielo ovviamente, pensai: forse questo ragazzo può davvero diventare un campione».

Cosa la stupiva di quel ragazzo?

«Che aveva un’enorme voglia di arrivare, una determinazione che non ho mai più ritrovato. Andava a scuola, si allenava e andava a letto, e così via. A volte nominava il compleanno di un compagno di classe, allora io gli dicevo: prendi il pullman e vai a Empoli dai tuoi amici, se fai tardi mi chiami e vengo a prenderti io».

Carlo Franceschi e Vincenzo Nibali al Tour de France 2012

E lui?

«All’inizio ci pensava, poi passava qualche giorno e alla fine mi diceva: Carlo, ho deciso che non vado, magari mangio male e vado a letto tardi, preferisco rimanere a casa e fare come dico io, almeno quando ho sonno vado a dormire e domattina mi alleno. Non ha mai tentennato».

Ma qualche volta avrà pur avuto bisogno di qualche strigliata.

«Il motivo era sempre quello: sprecava troppe energie e buttava via corse che poteva vincere non dico facilmente ma quasi. Io glielo facevo notare a tavola, mentre si mangiava, e lui se la prendeva da morire. Si alzava e andava via. Poi, più tardi o la mattina dopo, si giustificava: Carlo, hai ragione, ma a me piace correre così, che ci posso fare?»

Un problema che ha avuto anche all’inizio della carriera tra i professionisti.

«Non era semplice farglielo capire e alla fine è un bene che non si sia snaturato del tutto. Che lotte. Io che gli dicevo: per una volta non correre alla Nibali. E lui che mi rispondeva: ma io sono Nibali, come devo correre? E quando trionfava alla sua maniera mi prendeva in giro: hai visto che si può vincere anche come dico io?»

Erano gli anni della grande rivalità tra lui e Visconti, tra Mastromarco e San Baronto.

«Battaglie stupende, intense e anche logoranti. Vincenzo non lo dava a vedere, ma intimamente ci teneva tantissimo. Ti racconto questa. Un anno, lui era tra i dilettanti, torna dai mondiali abbastanza stanco e mi dice: Carlo, per quest’anno basta così, torno in Sicilia. E io gli rispondo: domenica c’è il Del Rosso, per noi toscani una gara sentita, stringi i denti e poi torni a casa».

Cosa rispose?

«Non ci fu verso di smuoverlo. Non si allenò e non partecipò. Il problema fu che vinse Visconti, sicché tutta San Baronto punzecchiava Nibali. Il martedì, due giorni dopo, si corse il Ponsacco: i primi 15 corridori della prova in linea del mattino si affrontavano il pomeriggio nella cronometro decisiva. E Vincenzo fece una delle azioni più belle che gli abbia mai visto fare».

Ovvero?

«In testa c’erano Visconti e Grivko, compagni di squadra. Vincenzo attaccò da solo, li riprese, li staccò e percorse gli ultimi 35 chilometri in solitaria. Aveva il gruppo a 15 secondi, eppure non si girò nemmeno una volta. Io ero contento così, mi sembrava impossibile che Vincenzo avesse ancora le energie sufficienti per difendersi nella cronometro. E invece vinse anche quella».

Carlo, secondo lei qual è la vittoria più bella di Nibali?

«Le vittorie son tutte belle, ma quella della Sanremo ha qualcosa di speciale. In quei dieci chilometri scarsi c’è tutto Vincenzo Nibali: il coraggio, la fantasia, l’improvvisazione, il talento, la classe, la forza, l’intuito. Quanti corridori negli ultimi decenni hanno saputo vincere i tre grandi giri e la Sanremo? Ecco, la risposta a questa domanda dà l’idea di chi è Nibali».

E il rimpianto più grosso della sua carriera, invece?

«Il Giro del 2019, quello vinto da Carapaz. Io gliel’ho sempre detto: per me l’hai perso te, dovevi muoverti in prima persona come hai sempre fatto e invece ti sei perso in polemiche e battibecchi con Roglic».

E lui cosa le ha risposto?

«E’ orgoglioso, non mi aspettavo che mi desse ragione. Ci girava intorno: mi mancava un gregario, Carapaz è stato forte, avevo paura di Roglic. Questo, insomma. Ma al mio Vincenzo perdono tutto. E lo aspetto qui, a Mastromarco».

Quando verrà di cosa parlerete?

«Del più e del meno, di ciclismo e di vita. Come sempre. Io gli chiederò: cosa vuoi da mangiare? E lui, come sempre: carne rossa, ultimamente ne ho mangiata poca. Allora io uscirò e andrò dal macellaio a comprargli una fiorentina. Perché per me Vincenzo è come un figliolo e i figlioli vanno sempre trattati bene, meglio che si può».