Giro d’Italia 2022: Van der Poel, Girmay e le sterili lamentele su una corsa tutt’altro che modesta

Il testa a testa di Viségrad tra Van der Poel e Ghirmay. Ewan è caduto a pochi metri dal traguardo (foto: LaPresse)
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Ormai lamentarsi del livello dei partecipanti del Giro d’Italia 2022 sembra diventato un dovere. A detta di molti si tratta di una corsa scialba, periferica, che ruota perlopiù intorno ai pochi nomi italiani e alle seconde (se non terze) linee straniere. Per crogiolarsi ancor di più nella lamentela e avvalorare la propria tesi si guarda al passato. Non necessariamente quello glorioso di Coppi e Bartali, di Merckx e Gimondi. Perfino la seconda metà degli anni novanta e i primi duemila sono diventati materiale nostalgico: quello sì che era il Giro.

Giro d’Italia 2022: lamentarsi del livello dei partecipanti non è giusto. I campioni onorano la corsa rosa

Come sentimento popolare forse è vero, i corridori italiani di vertice erano parecchi e questo spingeva i tifosi a schierarsi nel tifo e a riversarsi sulle strade e sulle salite. Ma non dobbiamo dimenticarci che in quegli stessi anni chi vinceva il Giro non andava oltre un successo di tappa al Tour, che un corridore come Ullrich (e non era l’unico, purtroppo) preparava la corsa francese schierandosi al via di quella italiana ancora con qualche chilo di troppo e disposto ad accumulare ore di ritardo (una e mezzo da Simoni nel 2001, 52°, e ritirato nel 2006 dopo 18 frazioni, quando il distacco da Basso aveva già superato i 45 minuti).

Alla Vuelta il livello è complessivamente più alto? Può darsi, ma dove sarebbe adesso la corsa spagnola se nel 1995 non fosse stata posticipata a settembre, diventando l’ultima spiaggia dei delusi e la miglior rifinitura possibile in vista dei mondiali? Perfino al Tour, ogni anno, manca almeno qualche pesce grosso: se non si vogliono citare Bernal e Colbrelli, assenti più che giustificati per ovvi motivi, si può optare per Evenepoel, che dopo aver debuttato in una grande corsa a tappe al Giro dello scorso anno ha scelto di concentrarsi sulla Vuelta. E ancora, chi è reduce da un’intensa campagna delle classiche come ad esempio Van Aert e Alaphilippe parteciperebbe ugualmente alla gara francese se questa fosse a maggio e non a luglio? Avendo, quindi, molto meno tempo a disposizione per tirare il fiato e prepararsi all’appuntamento? Non è escluso, ma manca la controprova.

Scarti, a chi?

Non è vero che al Giro d’Italia 2022 ci sono gli scarti, i luogotenenti, le alternative. Diverse formazioni hanno portato i loro scalatori di punta: Nibali e Lopez per l’Astana, Landa e Bilbao per la Bahrain, Carapaz per la Ineos, Yates per la BikeExchange, Bardet per la Dsm, Ciccone e Mollema per la Trek. Dumoulin e Foss sono le migliori alternative della Jumbo-Visma alla coppia formata da Roglic e Vingegaard (l’anno scorso brillante 2° al Tour, ma ha ancora tutto da dimostrare), Almeida invece non è l’uomo di riferimento della Uae soltanto perché uno dei suoi compagni di squadra è Pogacar.

La Bora può contare su un trio di tutto rispetto formato da Hindley, Kelderman e Buchmann, mentre per quanto riguarda la Ef il Carthy dell’ultimo biennio non vale meno di Uran. Senza dimenticare Valverde. Al Tour dello scorso anno arrivò 4° O’Connor, 6° Mas, 7° Lutsenko: il Giro può mai soffrire così tanto l’assenza di questi corridori? Davvero la corsa rosa deve considerarsi scarsa perché la Bora non ha portato Vlasov e la Israel non ha preso in considerazione Woods? Giustificare questo dispiacere con la mancanza di Roglic e Pogacar equivale a sostenere che allora tutti gli altri scalatori sono mediocri, incapaci di reggere da soli il peso emotivo e le aspettative di una corsa di tre settimane. Non regge.

Storicamente il Giro deve fare a meno degli specialisti delle classiche vista la vicinanza delle stesse, forse più una questione di calendario che non di prestigio del Tour. Questo è innegabile. Eppure ieri, sul traguardo di Visegrad, si sono dati battaglia i due più grandi personaggi emersi dall’ultima campagna del Nord, Van der Poel e Girmay, trionfatori rispettivamente del Fiandre e della Gand-Wevelgem.

E alle loro spalle, prima di cadere goffamente, c’era Ewan, uno degli sprinter più forti e vincenti del gruppo (che peccato non poter contare su di lui fino alla fine). Ma non è il solo velocista presente: Démare, Bauhaus, Gaviria e Nizzolo sono le carte migliori di Groupama, Bahrain, Uae e Israel, Cort Nielsen della Ef ha vinto tre tappe alla Vuelta dello scorso anno e Cavendish è la maglia verde uscente del Tour, conquistata grazie a quattro successi. Se alla Roubaix non avesse rimediato un brutto infortunio al gomito ci sarebbe stato anche Merlier, nel 2021 l’unica ruota veloce capace di vincere una tappa sia al Giro che al Tour. Tanti paesi si accontenterebbero di molto meno.