Liegi-Bastogne-Liegi / Le previsioni di Moreno Argentin: «Van Aert non è adatto, ma attenzione a Valverde. E che gioia le mie vittorie davanti agli emigrati italiani»

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Moreno Argentin in una foto d'archivio al Giro d'Italia
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La Liegi-Bastogne-Liegi è sempre più vicina e si appresta a chiudere la campagna del Nord. Per entrare nel clima dell’ultimo atto delle Ardenne abbiamo sentito Moreno Argentin che conosce questa corsa come le proprie tasche. Il campione veneto l’ha vinta ben quattro volte (1985, 1986, 1987, 1991) e solo Eddy Merckx è riuscito a fare meglio con cinque successi.

L’interlocutore perfetto quindi per introdurci all’edizione numero 108 della Decana delle Classiche. Una gara che, come sempre, si apre a diversi scenari e non esclude colpi di scena fino agli ultimi metri. Il vincitore uscente Tadej Pogacar, non ci sarà. Argentin cosa pensa della gara di domani? Scopriamolo su quibicisport.

Ad esempio Wout van Aert, al debutto, come lo vedi?

«Sarà la prima volta che correrà questa gara, ma c’è poco da scoprire in van Aert. Io non lo vedo molto adatto per la Liegi, bensì le sue enormi qualità ormai le conosciamo tutti molto bene ed è comunque da inserire tra i favoriti».

La Quick-Step riuscirà a colmare all’ultimo il vuoto in questa campagna del Nord?

«Possono farcela, vedo bene la coppia del Wolfpack composta da Julian Alaphilippe e Remco Evenepoel. Alla Freccia Vallone quest’ultimo ha lavorato per il francese, che non è stato brillantissimo. Ma ricordiamoci che la Liegi richiede uno sforzo diverso da quello della Freccia ed è lunga 250 chilometri. Ben cinquanta in più della gara svoltasi mercoledì, quindi verrà fuori anche una selezione diversa».

Chi ha fatto bene sul Muro di Huy è Alejandro Valverde. Può stupire ancora e fare il colpaccio?

«Certo, uno che alla Freccia Vallone ha rischiato di vincere come si fa ad escluderlo dai possibili protagonisti. Ha 42 anni, ma in corse come la Liegi un corridore stagionato come Valverde può far valere tutta la sua esperienza. Anche la gamba è buona, quindi perché no».

La gara scoppierà da lontano oppure no? Che scenario di corsa vedi?

«La Liegi-Bastogne-Liegi è una corsa ad eliminazione, quindi non puoi fare tanti tatticismi o azzardare e andare in fuga da lontano perché dopo la paghi. Viene fuori una selezione naturale e dalla Côte de Stockeau in poi, quando mancano 60 chilometri all’arrivo, iniziano pian piano a rimanere solo i migliori. Ai miei tempi la Redoute essendo più vicina al traguardo era determinante, ora no».

Per quanto riguarda l’Italia, sappiamo che i corridori azzurri al via hanno pochissime chance di vittoria. Ma vuoi fare qualche nome?

«No, non vorrei mettere il dito nella piaga (ride, ndr). E mi vengono in mente le parole di qualche giornalista durante le mie Liegi, quando non eravamo protagonisti proprio come adesso e quei pochi italiani che andavano venivano anche criticati. Ricordo che il giorno prima o anche durante la corsa, i giornali si lamentavano della carestia di nostri corridori al via e tiravano in ballo anche chi c’era. In particolare penso a Beppe Conti, che all’epoca scriveva per Tuttosport, il quale nel 1987 all’arrivo della mia terza Liegi venne a scusarsi. Io non capivo perché, ma poi venni a sapere che ne aveva dette di tutti i colori i giorni prima».

Ma comunque avevamo ugualmente dei pretendenti, come lo eri tu, Argentin.

«Sì, è vero. Oggi non c’è nessuno che può garantire possibilità di vittoria. E basta guardare gli ordini d’arrivo delle scorse Classiche, nessun protagonista. Caruso può fare bene. E comunque dobbiamo aggrapparci ancora a Vincenzo Nibali, ma è uno che ha già dato parecchio e non possiamo chiedergli qualcos’altro».

Tornando al passato: ci sono tante storie degli italiani emigrati in Belgio per lavoro che dalle tue vittorie in questa corsa ottenevano sentimenti di rivalsa, oltre che di felicità. Sentimenti che andavano oltre la gioia per una vittoria sportiva di un proprio connazionale. Raccontaci cosa significava per loro vedere un corridore italiano dominare la Liegi.

«Questo è un aneddoto che tutti vogliamo ricordare quando arriva la Liegi. In quella settimana in Belgio, tra la Freccia Vallone e la Decana, erano tantissimi gli italiani che venivano a trovarci negli hotel. Tutti connazionali emigrati lì per lavorare nelle miniere e che hanno subivano le angherie dei belgi. Sappiamo quanto il ciclismo belga, come del resto anche oggi, dominava e quindi vedere un italiano che riusciva ripetutamente a primeggiare in Belgio era come se vincessero loro stessi. Ottenevano così una rivalsa nel rapporto con i belgi sul lavoro».

Un trofeo morale in più anche per te, Argentin…

«Sì, per me pensare di gratificarli per un anno vincendo era motivo di grande orgoglio. Venivano prima a salutarmi e dopo a ringraziarmi. Davvero bei ricordi».