Cataldo corre in supporto di Ciccone: «È determinato e ha soltanto 27 anni, può ancora consacrarsi»

Cataldo
Dario Cataldo e Giulio Ciccone alla Tirreno-Adriatico 2022
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Quando Dario Cataldo osserva Giulio Ciccone rivede (parzialmente) se stesso: un corridore alla caccia di grandi risultati nelle corse a tappe di tre settimane che, tuttavia, non è ancora riuscito ad esprimersi al suo meglio.

«Mi pare che lui abbia più stoffa di me – riflette l’abruzzese – ma a me piace pensare d’essere per lui quello che nessuno è stato per me. Non dico che avrei potuto vincere il Giro o il Tour, però è pur vero che io negli anni della Quick-Step dovevo provare a fare classifica nelle grandi corse a tappe potendo contare quasi esclusivamente su me stesso. La squadra pensava perlopiù alle classiche, non come adesso che ha Alaphilippe, Evenepoel, Masnada e via discorrendo. E io non avevo nessuna figura esperta al mio fianco che mi potesse dare qualche dritta».

Dario, è questo il motivo per cui sei passato alla Trek?

«Principalmente sì: contribuire al percorso di crescita di Giulio Ciccone. Un corridore che, secondo me, viene terribilmente sottovalutato».

Secondo una buona parte dell’opinione pubblica, al contrario, Ciccone viene sopravvalutato.

«E’ un discorso che mi sta a cuore. Da questo punto di vista l’avvento di giovani superstar come Pogacar si è rivelato devastante per quei corridori che, a differenza dello sloveno, per affermarsi hanno bisogno di qualche anno in più. Insomma, dico io, Ciccone sarebbe un brocco perché non ha battuto Bernal, Roglic o chi so io? Secondo me ci si sta allarmando inutilmente».

E’ pur vero, Dario, che Ciccone ha compiuto 27 anni a dicembre: non è vecchio, ma nemmeno più alle prime armi.

«Hai ragione, ma al Giro dello scorso anno ad esempio mi sembra che abbia dimostrato di cos’è capace. Capisco che a tirare in ballo la sfortuna non si fa mai bella figura, ma è innegabile che a lui ne sono successe tante, troppe: cadute, infortuni, i problemi al cuore. Finché la forma lo ha sostenuto, alla corsa rosa del 2021 è stato probabilmente l’avversario più credibile di Bernal».

Cataldo, si può dire che questa stagione sarà decisiva per la sua carriera?

«Io tutta questa urgenza non la vedo. Nibali e Froome, due fuoriclasse, non si sono imposti fin da subito. Sono cresciuti con tempi che prima erano normali, adesso rischierebbero d’essere esagerati. La consacrazione l’hanno raggiunta alle soglie dei trent’anni, più o meno. Ciccone sarà sì e no a metà carriera, il tempo di dimostrare di cos’è capace non gli manca. E quanto ancora può crescere…»

Cosa gli manca, secondo te?

«Io direi in cosa eccede, invece. In certi frangenti dovrebbe sprecare meno, rimanere più coperto, fare qualche calcolo in più e qualche scatto in meno. L’istinto è un’arma a doppio taglio: fondamentale per cogliere l’attimo, ma pericolosissimo se non lo si sa adoperare. Dovrebbe contenerlo, sghezzarlo, affinarlo».

Ma così non rischia di snaturarsi?

«Si snaturerebbe se provasse a diventare un cronoman o uno specialista delle classiche del Nord. Si tratta soltanto di lavorare su un materiale che già c’è e che in parte è già emerso. C’è chi nasce più preciso, quadrato, calcolatore, e chi invece può diventarlo a patto di lavorare sodo e battere il muso di tanto in tanto: Ciccone fa parte di questo secondo gruppo».

Il suo talento potrebbe tornargli utile nelle classiche?

«Certamente, infatti so che Liegi e Lombardia gli piacciono molto e sogna di vincerle. Personalmente lo vedo bene in entrambe: non ha paura di rischiare e in salita ha un’accelerazione che fa male. Però un conto sono le gare di un giorno e un altro conto sono quelle a tappe».

C’è già uno zoccolo duro intorno a Ciccone per supportarlo?

«Per il momento no, ma si sta formando. Ci vuole tempo, è una questione sia di meccanismi che di fiducia: ma per fidarsi di una persona bisogna conoscerla e per conoscere una persona ci vuole tempo. Non ricordo blocchi storici nati in qualche mese soltanto».

Cataldo, hai definitivamente accantonato qualsiasi velleità personale?

«Le mie chance le ho avute e alcune sono anche riuscito a sfruttarle, non ho grossi rimpianti. Certo, se durante la stagione dovesse presentarsi qualche buona opportunità mi butterei senza pensarci due volte. Ma come ho detto in precedenza, sarò perlopiù un punto di riferimento esperto per Ciccone».

Lo ha voluto Guercilena?

«Io e lui ci annusiamo da tanto tempo. Avevamo già lavorato insieme alla Quick-Step, io giovane corridore e lui giovane direttore sportivo. Ogni volta che avevo il contratto in scadenza scambiavamo qualche chiacchiera. Finalmente rieccoci di nuovo insieme, una sorta di cerchio che si chiude».

Molti corridori, scegliendo il gregariato e sacrificando le ambizioni personali, hanno allungato le rispettive carriere. Cataldo, è stato così anche per te?

«Non ne sono mica sicuro. Anzi, senza amarezza ma con onestà dico che quello del gregario è un mestiere ingrato. Quante volte ho lavorato senza che nessuno, tifosi e giornalisti, se ne accorgesse, e poi mi sono beccato tante critiche e nemmeno un grazie perché il capitano di turno, quel giorno, non finalizzava quanto fatto dalla squadra. Il gregario non è sempre e soltanto romantico, come molto spesso si racconta».