Lorenzo Giordani ha 18 anni, ne compirà 19 tra una settimana esatta, il 9 marzo. È un ragazzo come tanti: qualche pregio e qualche difetto, due grandi passioni (ciclismo e informatica, l’anno scorso s’è assemblato un computer fisso da solo), tante domande e pochissime risposte. Però quando parla lo fa in fretta, mangiandosi le parole e talvolta usando dei termini inappropriati. L’impressione, ascoltandolo, è che in realtà vorrebbe parlare, aprirsi e confidarsi più spesso di quanto invece la sua quotidianità gli permette. «A volte uno si crede incompleto – scriveva Italo Calvino tanti anni fa – ed è soltanto giovane».
Del suo futuro, ad esempio, Lorenzo Giordani non sa ancora cosa fare. Tutto intorno a lui lo spinge verso il ciclismo: i trascorsi del nonno e del padre (Leonardo, ex professionista, campione del mondo tra gli Under 23 nel 1999), le sue misure (65 chili per 186 centimetri), il suo talento (nel 2021 nono nella generale del Lunigiana). Ovviamente il trasporto che sente nei confronti di questo sport, l’unico che abbia mai veramente praticato. Eppure lo scorso anno tutto questo sembrava non bastare: quasi quasi Lorenzo Giordani avrebbe voluto smettere.
«Era agosto, io, la mia ragazza e i miei amici al mare: però io in ritiro da una parte, loro invece a divertirsi da un’altra. Mi prese una tristezza che non saprei descrivere. Un po’ la fatica, un po’ la lontananza, un po’ la voglia di fare una vita normale, senza dover star dietro all’orologio e alla dieta: fatto sta che passai tre settimane difficili. Ogni tanto mi veniva da piangere, mi allenavo male e correvo peggio. Non ero sereno. Ad esempio, lo scorso anno ho vinto l’ultima gara il 3 ottobre e il 10 sono andato a ballare. Non mi sembrava vero, una boccata d’aria nuova. È passata, ma il segno l’ha lasciato e ogni tanto ci ripenso. Se un domani dovessi guadagnarmi il professionismo cosa farò? Sarò in grado d’accettare con convinzione, di farmi andar bene la vita da atleta? Ad ora non saprei rispondere. Sfrutterò questi anni di dilettantismo per capirlo».
Diciamo che Lorenzo Giordani è capitato in mani buone: quelle di Gabriele Balducci della Mastromarco, che conosce bene il padre Leonardo avendoci anche corso insieme nel 2000 nella Fassa Bortolo. Un ambiente affidabile e sereno è quello che serviva al ragazzo, che ha debuttato tra gli Under 23 lo scorso sabato alla Firenze-Empoli: ritirato ad una ventina di chilometri dalla fine.
«Io Balducci lo conoscevo di nome, ma siccome ne ho sempre sentito parlare bene non ho avuto dubbi. In certi momenti è duro ed esigente, ma credo sia giusto così. In generale di lui mi piace il fatto che non si accontenti di allenarci come corridori e strillarci nei timpani. Ci segue, non ci fa mancare niente, prova ad immedesimarsi in ognuno di noi. È interessato anche alla nostra vita extraciclistica. E io questo lo apprezzo. Cercherò di ripagarlo meglio che posso: aiutando i miei compagni di squadra più forti, a partire da Filippo Magli, e cercando di inseguire qualche bel risultato se dovesse presentarsi l’occasione. Di più non voglio sbilanciarmi, fino all’estate sono impegnato con la scuola e la maturità e sinceramente del calendario dilettantistico non conosco le gare».
La scuola che frequenta Giordani è un professionale, meccanico, indirizzo riparazione veicoli a motore. Ma negli ultimi tempi si è accorto che non è questa la sua strada. Se non dovesse andar bene col ciclismo, o se dovesse stufarsi di pedalare, si butterebbe sull’informatica. Un’altra grande passione («anche se – come specifica lui stesso – mi costa non poco) è quella per i manga, i fumetti giapponesi.
«Potrà sembrare strano, ma nei momenti più difficili mi hanno aiutato a distrarmi, ad immaginare, ad evadere. Anche se poi, a lettura finita, riparte tutto da capo. Il mio problema, in bici e nella vita di tutti i giorni, è che penso troppo. A scuola, con gli amici, con le ragazze, mentre pedalo: dovrei affidarmi di più all’istinto, rischiare di più, stare alla sorte e prendere quel che viene. Non credo ci siano grandi aggettivi per descrivere uno come me. Però ho anche qualche pregio: sono un ragazzo alla mano, mi spendo per aiutare gli altri, cerco di ascoltare sforzandomi di non giudicare. In generale sono benvoluto, spero che voglia dire qualcosa».
Giordani: un percorso nelle formazioni storiche della Toscana
A parlare, tuttavia, sono anche i suoi risultati. Ha sempre corso in squadre storiche del ciclismo giovanile toscano: Nuova Sfinge, Borgonuovo, Milleluci, Casano. E lo scorso anno, il suo secondo tra gli juniores, ha vinto due gare piazzandosi in diverse occasioni. Slanciato e longilineo, sogna una tappa al Giro d’Italia e la Parigi-Roubaix. Da allievo ha partecipato alla Piccola Roubaix di Casalguidi, tra pavé e terriccio, chiudendola due volte all’undicesimo posto: si vive anche di piccole soddisfazioni e coraggiosi accostamenti.
«Se proprio dovessi scegliere un corridore da prendere a riferimento, direi Filippo Ganna. Ha classe, potenza e palmarès: non gli manca nulla. Io sul passo mi difendo, tant’è che digerisco senza problemi le salite lunghe e costanti. A mettermi in crisi sono gli strappi, brevi e con pendenze arcigne. A differenza dei cronoman puri, tuttavia, mi manca un bel po’ di massa muscolare. Se con gli anni dovessi metterla, chissà, magari potrei diventare un bel cronoman. Dove devo migliorare? In discesa e nel posizionamento in gruppo: prendo troppo vento e questo non va bene».
In sella ricorda lo stile di suo padre Leonardo
A chi gli fa notare che la sua posizione in sella è pressoché identica a quella del padre, Lorenzo Giordani risponde di sì, che è vero, ma allo stesso tempo preferirebbe si parlasse d’altro: i paragoni con Leonardo iniziano a scocciarlo.
«Quando si è adolescenti è difficile dare retta ai propri genitori, quindi è più facile che stia a sentire il mio direttore sportivo. Però riconosco che mio padre mi segue per il mio bene. A volte mi costa ammetterlo, ma praticamente tutti i consigli che mi dà prima o poi si rivelano giusti. L’accostamento con mio padre ha cominciato a pesarmi qualche anno fa. Da bambino mi piaceva che venisse rimarcato, mi faceva sentire più importante degli altri. Ma col tempo ho capito che questo non conta nulla, sono soddisfazioni di poco conto: l’importante è quello che si è e che si sa fare, il cognome che si porta conta fino ad un certo punto. Io mi domando: c’è davvero bisogno di rimarcare in continuazione chi è mio padre? È come se io non esistessi, come se quello che ho fatto in bici fino ad oggi non fosse farina del mio sacco. Insomma, io sono Lorenzo, non soltanto il figlio di Leonardo Giordani».
È un giovane che si ribella, che cresce, che si rompe e al contempo si fa le ossa. E che, prima o poi, qualsiasi essa sia, troverà il proprio posto nel mondo.