Un caffè con Bruno Reverberi: «La mia Bardiani, il progetto giovani, l’idea di Cassani e i tanti problemi del ciclismo moderno»

Reverberi
Bruno Reverberi, team manager della Bardiani CSF-Faizané, giunto al suo 40° di carriera
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Nell’hotel Grand Hormuz di Mascate c’è fermento, i grandi protagonisti del Tour of Oman 2022 sono arrivati. C’è Mark Cavendish, che sfida già con lo sguardo il suo rivale di strada e pista Fernando Gaviria, c’è il nostro Fausto Masnada, l’ex campione del mondo Rui Costa, Soren Kragh Andersen e molti altri.

Seduto in disparte nella hall dell’albergo troviamo Bruno Reverberi, preso a guardare lo scenario mozzafiato del tramonto sul deserto. Il team manager della Bardiani CSF-Faizané, insieme a suo figlio Roberto, è venuto a guidare i suoi ragazzi: gli ingredienti per fare bene ci sono tutti e i corridori sembrano essere già in grande forma. Ma con l’esperto e saggio Reverberi vogliamo andare oltre la corsa che scatterà domani e parlare di ciclismo a tutto tondo. Lui, che ne ha vissute tante in questi anni, non si tira mai indietro in queste occasioni e davanti a dell’ottimo caffè arabico inizia la chiacchierata…

Bruno, è iniziata la tua 40ª stagione da team manager. Non sono certo pochi…

«Direi proprio di no, quando ho iniziato ero poco più che un ragazzo e ora sono vecchio, non ho paura a dirlo. Una cosa però non è mai cambiata, la mia passione e il mio amore per questo sport che ancora oggi, a 72 anni, mi fa volare fino in Oman solo per seguire i miei ragazzi».

E di ragazzi in questi anni ne hai visti passare molti.

«A centinaia. Eppure non mi sono ancora stancato di vederli crescere, migliorare anno dopo anno e perché no anche diventare campioni. Per farvi un esempio, quello che ha fatto Colbrelli mi ha riempito il cuore di gioia. Adesso lo vedete vincere la Roubaix, ma non vi dimenticate che lui è passato professionista con noi, correndo in Bardiani per sette anni».

E ora avete iniziato questo nuovo progetto con i più giovani. Perché?

«Non vi nascondo che siamo stati un po’ costretti. Mi spiego meglio: con la loro nascita tutti gli Under 23 più giovani e interessanti si sono diretti verso le Continental. La loro speranza è quella di fare un calendario internazionale ed essere notati dalle squadre WorldTour. E il ciclismo giovanile ha preso questa direzione: i più forti vanno direttamente nella “Serie A”, mentre i corridori di secondo piano, spesso già arrivati al quarto anno, vanno a noi…»

Quindi?

«E quindi le squadre Professional come la nostra continuano a indebolirsi. Il divario con il WorldTour aumenta sempre di più e diventa impossibile colmarlo. Di qui la nascita del nostro “progetto giovani”, così come è stato ribattezzato da voi media e addetti ai lavori».

Alcuni giovanissimi. Pinarello e Pellizzari sono arrivati direttamente dagli juniores e non avrebbero potuto secondo le regole della Federazione…

«Lo so. Da una parte la Federazione ha ragione, i ragazzi devono crescere con calma e fare le loro esperienze tra i dilettanti. Ma c’è da dire che questa famosa regola dei tre anni (uno tra gli junior e due U23 ndr.) esiste solo in Italia. Il ciclismo è cambiato, i giovani sono già competitivi e anche la nostra Federazione deve adeguarsi. L’articolo della normativa è obsoleto. Pensate che a noi ha fatto piacere far prendere la residenza all’estero a questi ragazzi?».

Nell’ambiente Under 23 sono in pochi a mostrarsi felici del vostro progetto?

«Sinceramente non mi interessa. Capisco che così molti dei ragazzi vengono da noi e non firmano con le altre squadre, anche perché sono attratti da uno stipendio che tra i dilettanti non viene garantito, ma noi finora abbiamo subito in silenzio. Poi sarà la strada a parlare e i conti andranno fatti alla fine dell’anno».

Quali obiettivi vi siete messi entro la fine dell’anno?

«Sinceramente non ce ne siamo posti. Abbiamo una rosa ampia che giocherà su più fronti in corse importante. I ragazzi che rientrano nel progetto faranno attività mista: correranno nelle prove internazionali e si misureranno con i professionisti. Quelli più grandi continueranno con il calendario classico della Bardiani sperando di raggiungere risultati che ci sono mancati negli ultimi anni».

Chi ti piace di più dei giovani che avete in squadra?

«Bella domanda. Premettendo che mi piacciono tutti altrimenti non li avrei con me, ti direi Filippo Zana, Luca Colnaghi e Samuele Zoccarato. I primi due sono state pedine fondamentali per i successi della nazionale Under 23 di Marino Amadori, mentre il terzo con il suo podio al Tricolore ha dimostrato di valere i migliori».

Prima hai parlato di divario con le WorldTour. Molto è dovuto anche all’aspetto economico…

«Qui c’è da aprire un capitolo enorme, ma sarò breve. I costi aumentano ogni anno. Ci vogliono sempre più soldi per costruire una squadra e non a caso gli sponsor delle WorldTour sono quasi tutte aziende appartenenti a un certo stato, o nel caso di Astana, Bahrain e UAE è lo stesso stato a finanziare. O ancora dipendono indirettamente dal governo come le francesi. Noi siamo una realtà piccola in confronto».

E l’idea di Cassani? Si parlava di contatti con voi Reverberi per allestire una WorldTour dal 2023. È così?

«Che se ne sia parlato è vero, ma da qui a dire che la squadra verrà fatta ce ne vuole. Cassani si sta muovendo per trovare le risorse: l’obiettivo è quello di realizzare una Professional forte come la Alpecin che a suon di risultati conquisti il WorldTour. Abbiamo anche parlato con degli sponsor ma le cifre sono importanti e per convincere tutti ci vuole un grande sforzo. Per ora c’è l’idea, per la realizzazione vedremo».