Il bilancio di Eros Capecchi: «Il giorno più bello? Gli ultimi 17 anni della mia carriera»

Capecchi
Eros Capecchi in una foto d'archivio al campionato italiano 2021
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Nessun rimorso, nessun rimpianto, nessuna voglia di vendicarsi arrivato al termine della propria carriera: non appartiene al carattere di Eros Capecchi, da sempre un amante della quiete e del lasciar scorrere, talmente paziente da trovare inevitabilmente sulla sua strada qualcuno che di questa bontà se ne approfitta. 

«Da bambino smisi di giocare a calcio proprio per questo motivo – racconta – Ero abbastanza bravo, infatti mi aggregarono ai ragazzi più grandi. Però questi, sapendomi più piccolo e più calmo di loro, non mi facevano mancare qualche scherzetto e qualche battuta di troppo. Senza dimenticare che il calcio rimane comunque uno sport fisico, di contatto: e a me la prepotenza fisica, l’avere la meglio sull’altro in quella maniera, non è mai piaciuto più di tanto».

E così ti sei dedicato al ciclismo.

Sì, una grande passione di mio padre e di mio nonno. Io all’inizio pedalavo tanto e seguivo poco, poi mano a mano che mi appassionavo all’attività diventavo anche più bravo nel riconoscere i corridori e nel capire le tattiche di gara.

Chi erano i tuoi corridori preferiti?

Mi viene in mente Cipollini, che si è ritirato qualche mese prima che io debuttassi tra i professionisti: lui ha smesso alla fine del 2005, io sono approdato alla Liquigas nel 2006. Penso poi, soprattutto, a Bugno e Indurain. Di Bugno mi colpiva l’eleganza e la duttilità: ha vinto un Giro, un Fiandre, una Sanremo e due mondiali, gare estremamente diverse tra loro.

Quelle che sognavi da giovane quali erano?

Su tutte il Tour de France e la Milano-Sanremo, quando si è ragazzi è bene sognare l’impossibile, poi c’è sempre tempo per ridimensionarsi.

Da queste parole dobbiamo dunque dedurre un tuo ridimensionamento?

Mi pare ovvio, non l’ho mai nascosto. Da giovane mi muovevo bene, tra i professionisti ho vinto comunque quattro gare e una tappa al Giro nel 2011. Poi ho preso un’altra strada, quella del gregariato, a discapito ovviamente del mio palmarès.

A cosa si deve una scelta del genere?

Ho provato a fare il capitano, direi che per le mie potenzialità non è andata nemmeno male, però ho capito che le pressioni non sarebbero mancate e io sinceramente volevo vivere l’attività con una maggior serenità. Votandomi al gregariato ho guadagnato in tranquillità e longevità: mi sono allungato la carriera, insomma.

Non hai davvero nessun rimpianto?

Assolutamente no. Nessun rimpianto, nessun rimorso, nessuna vendetta. Quando mi chiedono qual è stato il giorno più bello della mia carriera, io rispondo gli ultimi 17 anni. Ho fatto quello che volevo fare, quindo ho realizzato il mio sogno, e fortunatamente la salute e la fortuna mi hanno assistito: non ho mai avuto gravi incidenti, correndo tanto e partecipando a grandi eventi.

Facendo parte di grandissime squadre come Liquigas, Movistar, Astana, Quick Step e Bahrain, e assistendo capitani di assoluto valore come Basso, Nibali, Valverde, Alaphilippe.

Proprio per questo motivo continuo a domandarmi: che senso avrebbe lamentarsi adesso e pensare a cosa poteva andare diversamente dieci o quindici anni fa? Di tutti questi nomi, quello che mi è rimasto più impresso è quello di Basso. Ero giovane, lui un campione già affermato. Determinazione, caparbietà, meticolosità: tutte caratteristiche che ha trasmesso anche a me.

Quindi non ti è dispiaciuto fare il gregario.

No, nella maniera più assoluta. E’ un ruolo che rivendico, che sento mio, che mi ha insegnato molto. Anzi, arrivo a dire che tanti giovani di oggi non saranno mai dei veri campioni se non passeranno dalla gavetta del gregariato. Se non hai lavorato per un grande capitano, in futuro non riuscirai a comprendere lo sforzo e i sacrifici che i tuoi compagni stanno facendo per te. 

Se tu dovessi riassumere il gregariato in una frase?

Quando potevo, davo veramente tutto quello che avevo per i miei capitani. Quando non potevo, anche. 

Perché hai deciso di ritirarti?

Non c’è un motivo preciso. Sentivo che non mi stavo più divertendo. Non nego che quest’anno mi sarebbe piaciuto correre di più, la forma e l’entusiasmo non mi mancavano. Poi, col prosieguo della stagione, sono andati scemando. Non c’è stato nemmeno un momento preciso. Quando l’ho annunciato per la prima volta ho lasciato di stucco perfino Giada (Borgato, la sua compagna, ndr) e la mia famiglia.

Adesso cosa farai?

Mi dedicherò al mio vivaio, un’attività che mi piace e che fa parte del mio passato. In più, la Federazione umbra mi ha scelto come selezionatore per quanto riguarda esordienti, allievi e juniores. Un bell’incarico, stimolante.

Sei stato anche in ritiro con la Parkpre, la nuova squadra dilettantistica allestita da Francesco Ghiarè.

Siamo entrati in contatto tra giugno e luglio, gli ho dato una dritta per un giovane. Mi ha chiamato poche settimane fa e mi ha detto: ti voglio con me, scegli il ruolo che desideri. Io, dopo averlo molto ringraziato, gli ho detto che l’avrei aiutato lungo tutto l’arco della stagione con consigli e consulenze, diciamo così. Ma di ruoli fissi, come ad esempio quello di direttore sportivo, non ne volevo. Mi sembra un bel progetto, mi fa piacere che abbiano pensato a me.

Che idea ti sei fatto del ciclismo giovanile, visto che da gennaio in poi ci avrai a che fare?

Intanto alla Federazione umbra ho chiesto un velodromo. Bisogna investire sulle strutture per far pedalare in sicurezza i più giovani. Le strade sono diventate pericolose, questo è un fattore da non sottovalutare. E attenzione a non far coincidere la precocità con l’esasperazione: non è che se un ragazzo passa professionista da giovanissimo automaticamente sbaglia. 

Tanti tuoi coetanei dicono: ai miei tempi…

Ma non vuol dire nulla. Io posso dirti che probabilmente chi passa professionista oggi a vent’anni forse non ne farà 17 come me, ma questo non è necessariamente un male. E’ inutile trattare i ragazzi di oggi come quelli di venti o trent’anni fa. Bisogna valutare caso per caso, generalizzare è l’unico errore da evitare. E cercare di capire quali sono le loro reali esigenze.

Ti era mancata la normalità, Eros?

Sì, non lo nego. Non l’ho potuta vivere da giovane, cercherò di approfittarne adesso. Sciare d’inverno, andare al mare d’estate senza portarsi dietro la bicicletta e guardando il Tour da spettatore. Alla mia vita chiedo solo questo: salute e serenità.