Milesi tenta l’avventura: «Vado in Olanda per capire che corridore sono. E Garofoli mi ha dato qualche consiglio»

Milesi
Lorenzo Milesi in azione con la maglia della Beltrami (Foto: BettiniPhoto)
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Lorenzo Milesi dice che dalla sua prima stagione tra gli Under 23 si aspettava di più. Non necessariamente qualche vittoria, visto che non è né particolarmente veloce per battere gli avversari in volata né sufficientemente forte in salita da staccare la concorrenza. «Mi è mancata la costanza, quella sì. E forse un pizzico di fortuna: quando sentivo di stare bene, d’essere finalmente pronto a togliermi qualche soddisfazione, sono incappato in qualche imprevisto. Quantomeno ho finito la stagione in maniera convincente».

In fuga al Giro dell’Emilia dei professionisti per circa 150 chilometri e vincitore di ben due traguardi alla Coppa Bernocchi. Forse convincente è riduttivo.

«Se devo essere sincero, questi risultati mi hanno stupito fino ad un certo punto. A diversi dilettanti ho sempre sentito dire che si trovavano meglio quando correvano coi professionisti. E io non ci credevo, mi domandavo: ma è mai possibile? Adesso che l’ho sperimentato, confermo che è così anche per me».

Perché sostieni questo?

«Da quel poco che ho provato, ho capito questo: si parte forte finché non va via la fuga, poi c’è una fase di stanca, infine il gruppo aumenta il ritmo per riprendere i fuggitivi e giocarsi la vittoria. Ma lo incrementa con regolarità, non a strappi. Tra i dilettanti, invece, ogni gara è un’avventura: non ci sono schemi, le squadre che potrebbero controllare son quelle che spezzano la gara andando in fuga, ognuno va per conto suo. Non ci si capisce niente».

E tu, insomma, ti trovi meglio tra i professionisti.

«Per come viene concepita la gara, direi proprio di sì. Questo, però, non significa che mi senta già pronto per fare il grande salto: sono ancora giovanissimo, compirò vent’anni il 19 marzo e la mia esperienza coi professionisti è limitata a qualche gara. Tanto per capirsi, alla fine il Matteotti, l’Emilia e la Veneto Classic non le ho mica finite».

Ti hanno aiutato a capire che corridore sei? Dagli juniores, ad esempio, sei arrivato con l’etichetta di cronoman.

«Sinceramente no, sono tutto da scoprire. Non potrebbe essere altrimenti, considerando che ho cominciato a pedalare circa tre anni fa dopo aver giocato a calcio per tanto tempo. A cronometro mi sono tolto alcune soddisfazioni, è vero, ma ultimamente ho trascurato troppo questa disciplina e i risultati, in negativo, direi che si sono visti».

Perché l’hai trascurata?

«Sai, non c’è un motivo preciso. Ogni stagione è piena di appuntamenti e passa molto in fretta, questa è la realtà. All’inizio dell’anno sono caduto nell’ultima tappa della Coppi e Bartali, mi sono dovuto ritirare e ho passato diversi giorni pieno di ferite e dolori. Poi ci sono stati il Romagna e il Giro d’Italia, dopodiché i campionati nazionali, e ancora l’Etoile d’Or in Francia e il ritiro al Sestriere col gruppo nazionale che ha partecipato a europei e mondiali. Il tempo non basta mai».

Al Giro d’Italia, tuttavia, hai vissuto forse i tuoi giorni più belli.

«Senza dubbio. Nelle ultime quattro tappe di montagna non sono mai uscito dai primi venticinque, nella nona sono arrivato decimo ad una manciata di secondi da Ayuso, Johannessen e Vandenabeele. Averlo terminato in crescita mi fa riflettere molto, soprattutto in prospettiva. Come dicevo prima, devo capire ancora che corridore sono».

Per farlo ti trasferirai in Olanda, nella formazione satellite della Dsm.

«Si sono fatti avanti dopo il Giro, io avevo già una mezza parola con un’altra squadra ma alla fine ho deciso di accordarmi con loro. E’ una realtà seria e importante, sanno lavorare coi giovani e plasmare corridori vincenti. Ci siamo già incontrati la scorsa settimana in Olanda, nello stesso hotel c’erano le tre formazioni: World Tour maschile, World Tour femminile e la nostra, quella giovanile. Un’esperienza bellissima».

In tutto ci sono quattro italiani: Alberto Dainese, Francesca Barale e insieme a te ci sarà anche Lorenzo Ursella, direttamente dagli juniores. Avete scambiato qualche parola?

«Sì, anche se eravamo tutti insieme e gli impegni non sono mancati. Sono rimasto piacevolmente colpito: uno staff all’avanguardia, non manca niente, c’è un addetto per qualsiasi mansione. In un’organizzazione del genere ci si sente stimolati, quasi obbligati, a dare il massimo».

Almeno fino ad ora c’era anche Gianmarco Garofoli, il quale tuttavia ha preferito tornare in Italia lamentando alcune incomprensioni e differenze culturali.

«Quello che si dice in giro della Dsm lo leggo anche io, ma sinceramente non ci do molto peso. Ne prendo atto, certo, ma poi credo che ognuno sia fatto a modo suo e un’esperienza va vissuta in prima persona, non per sentito dire. Il valore dell’ambiente è fuori discussione. E poi si tratta di un’avventura a tutto tondo: vivere da soli, cucinare, tenere in ordine, fare la lavatrice. Non è soltanto una questione ciclistica, insomma».

Hai parlato con Garofoli?

«Sì, ci siamo sentiti a telefono, alla fine abbiamo la stessa età. Sono state chiacchiere leggere, non delle lezioni su come approcciare l’ambiente. Mi ha dato un solo consiglio: rispettando le gerarchie e fidandosi della loro esperienza, non si hanno problemi».

Cosa cercherai in Olanda?

«La costanza che qui, almeno per ora, non ho saputo trovare e un paio di risposte ad alcuni dubbi. Se posso essere adatto alle corse a tappe, ad esempio. E poi quanto valgo nelle classiche del Nord: non ne ho mai affrontata nessuna, sono molto curioso. Poi, tra un anno o due, tireremo una riga e faremo un bilancio».