
Si potrebbero utilizzare molteplici aggettivi e formule disparate per definirlo ma Alejandro Valverde sfugge a tutte le nomee e a tutte le etichette. L’arbiter elegantiae, per dirlo con termini cari alla letteratura latina, del ciclismo contemporaneo ha dimostrato ancora una volta che il fato avverso può fare male, eccome, ma non a sufficienza per far deporre le armi a chi dispone di animo forte e coraggio.
Una volata regale
Ieri il suo nome circolava con insistenza, come era inevitabile fosse, tra i papabili per vittoria. La terza tappa del Giro di Sicilia, la prima dalle difficoltà altimetriche considerevoli, che da Termini Imerese ha portato a Caronia al termine di 180 chilometri sembrava disegnata appositamente per l’Imbatido. Soprattutto la parte conclusiva, con quei tre chilometri finali al 6% di pendenza media in cui far faville con il giusto colpo di pedale che, come dimostra il trionfo odierno, non è mancato al campione del mondo di Innsbruck nel 2018.
Il sole siciliano accompagna le pedalate dei corridori, si infiltra nei loro caschi, rende il loro sforzo intenso in un settembre pronto a uscire di scena e a lasciare spazio al mese di ottobre che fa da anteprima al sorgere dell’autunno. La selezione è stata fatta a dovere, gli 11 km della scalata verso Pollina si sono fatti sentire scremando notevolmente il gruppo, davanti ci sono venti corridori, non di più. L’ultimo chilometro arriva lesto come la fine di un’estate felice, Cristian Scaroni della ProTeam Gazprom-RusVelo cerca di avvantaggiarsi ma il guardingo Davide Villella non gli lascia neanche un metro, pronto a lanciare la volata al suo capitano Valverde che non si fa trovare impreparato.
A 500 metri dalla fine l’alfiere della Movistar dà un rapido sguardo dietro di sé, nota che Alessandro Covi della Uae lo marca stretto, decide di mettere le mani basse sul manubrio, lo sprint è prossimo. A 300 metri parte fulmineo, prima di quanto gli avversari potessero aspettarsi, dietro lo inseguono come forsennati. C’è chi si scompone, chi dà fondo alle ultime energie rimaste per tentare il colpaccio. A Valverde sembra interessare ben poco, lui procede con una frequenza di pedalata fluida e raffinata, quasi non faticasse dopo oltre quattro ore di corsa. Non si volta indietro, sa di essere il più forte, sa che nessuno può impensierirlo e va a vincere con l’autorevolezza del campione siglando il suo terzo successo stagionale dopo il Gran Premio Indurain e la sesta tappa del Giro del Delfinato. Il traguardo di Caronia per lui porta doppia gioia perché, oltre al trionfo di giornata, gli regala anche la maglia di leader della classifica generale, dal rosso sgargiante con striature gialle.
Recupero da record
Osservandolo pedalare, nessuno avrebbe detto che questo eterno ragazzino di quarantuno anni un mese fa ha dovuto subire un intervento per la rottura della clavicola destra causata dalla caduta nella settima tappa della Vuelta di Spagna, la prima di montagna da Gandia a Balcon de Alicante, poco dopo aver attaccato sul Puerto El Collao. Le immagini del suo ritiro in lacrime dalla corsa che più ama sono ancora impresse negli occhi increduli dei tifosi. Ma Valverde non è uomo intento a gettare la spugna e, qualche giorno dopo l’operazione, è di nuovo in sella.
Ricomincia con allenamenti leggeri sui rulli il 27 agosto, poi torna in strada a macinare chilometri fondamentali per essere al via delle classiche di fine stagione. Chi viene a conoscenza della sua ripresa quasi storce il naso, sembra impossibile o, addirittura, un miracolo. Nulla di tutto ciò: trattasi di caparbietà e spirito di sacrificio che permettono a uno sportivo di andare oltre quei dolori che, spesso, rappresentano un ostacolo arduo da superare soprattutto dal punto di vista psicologico.
Finché si avranno passioni non si cesserà di scoprire il mondo, scriveva saggiamente Cesare Pavese in una delle sue opere più belle intitolata Il mestiere di vivere. E il buon Alejandro di passione verso quel magico destriero a pedali che tanto gli ha dato ne ha ancora parecchia, come di entusiasmo nell’affrontare nuove sfide che per lui non sono un peso bensì uno stimolo per andare oltre i problemi fisici, oltre le avversità, oltre il tempo che inesorabile scorre. Oltre le salite che, per quanto ardue, sono seguite sempre da una discesa e che una volta scalate consentono di godere di un panorama magnifico e speciale. Come il ciclismo.











