Il gran finale di Fabio Aru: «Rimorsi? Nessuno e tantomeno rancore. Il ciclismo farà sempre parte del mio percorso»

Fabio Aru nella sala Giorgio Pisnao de ''L'Unione Sarda'', con in mano i due speciali di Bicisporot sulla corsa rosa del 2014 e del 2015 in cui giunse terzo e secondo classificato.
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L’atmosfera è pacata, si respira un’aria di attesa. Sono le 11 in punto quando Fabio Aru entra nella elegante sala Giorgio Pisano de L’Unione Sarda in una Cagliari soleggiata e accogliente per un incontro con la stampa locale, modulato da Carlo Alberto Melis giornalista del quotidiano e profondo conoscitore del ciclismo che ha seguito sin dagli esordi Aru, così da ufficializzare il suo ritiro dalle corse avvenuto dopo la Vuelta di Spagna e rispondere alle curiosità di addetti ai lavori ed estimatori. Arriva con passo tranquillo e rilassato, jeans stretto, polo nera e grigia della Qhubeka, scarpe sportive bianche, fisico tirato: c’è chi gli si avvicina per salutarlo, chi gli stringe la mano e chiede un autografo: le domande  nel corso delle due ore di chiacchierata sono molteplici e varie: si parla del suo passato, dei momenti più felici trascorsi in bici, del suo futuro, c’è chi azzarda anche qualche domanda sulla sua vita personale. Fabio risponde a tutti, cordiale e disponibile, con un sorriso timido di un ragazzo che non ha mai perso l’attaccamento alla sua terra, una Sardegna che profuma di mito e fierezza.

Dieci anni di emozioni

Il Cavaliere dei Quattro Mori sarà nella sua Isola sino a metà ottobre, in quella Villacidro descritta magistralmente dallo scrittore Giuseppe Dessì, in cui il tempo sembra non sia mai trascorso. «Sono sereno e felice, credo che questa sia la cosa più bella e più importante». Aru parla con cognizione di causa e disinvoltura, ricordando con piacere i giorni di gloria e con altrettanta umiltà i periodi difficili che non sono mancati. «A differenza di altri colleghi che sono arrivati nauseati dal ciclismo a fine carriera», racconta, «io amo ancora tanto la bicicletta e continuerò ad allenarmi. Qualche giorno fa ho fatto due uscite con un gruppo di cicloamatori del mio paese dopo pranzo, abbiamo percorso quasi 100 km ed è stato bellissimo pedalare per il puro gusto di stare insieme e condividere una bella serata». La domanda che ricorre di più tra le persone, in questi giorni, è una: cosa farà Fabio Aru adesso che non è più un Professionista? «Chi può dirlo con esattezza?, scherza Fabio con fare sornione. «Sicuramente non comincerò un cammino nuovo prima del 2022: voglio dedicarmi alla mia famiglia, riassaporare la quotidianità e valutare eventuali proposte. Sicuramente c’è il desiderio di rimanere nel ciclismo, sarebbe bello lavorare con i giovani e trasmettere loro la mia esperienza. Vedremo, è ancora troppo presto per dirlo».

Dalle prime gare in mountain bike e nel ciclocross, sino ai podi al Giro d’Italia,  la vittoria alla Vuelta e le avversità degli ultimi tre anni, la passione e la serietà del Cavaliere del Quattro Mori non sono mai venute meno. «I momenti complessi fanno parte della vita di un atleta», prosegue, «e nella mia non sono certo mancati. Quello che mi dispiace è che tante persone sono andate sul personale senza conoscermi minimamente. Ho percepito, talvolta, un astio nei miei confronti del tutto ingiustificato che non aveva né capo né coda. Penso, ad esempio, a quando leggevo insulti sui social network riguardo il mio stipendio, in quel caso si è toccato il ridicolo e credo che la maleducazione abbia preso il sopravvento. Ma ora poco importa: dalle esperienze negative bisogna trarre insegnamento, come dimostra il ciclismo».

Pronto a una nuova vita

E ciò che ha appreso in questi anni intensi e ricchi di istanti da custodire gelosamente Aru lo porterà con sé come lezione preziosa da non scordare mai. «Tutto ciò che ho fatto nel ciclismo è stato importantissimo», aggiunge. «Alla Vuelta, ad esempio, parlavo con Thomas Pidcock della importanza della mountain bike e del ciclocross. Sono due specialità che i ragazzi dovrebbero provare, mettendosi in gioco e vivendo  tutto all’insegna dell’avventura e del divertimento che soprattutto nei giovani non devono mancare. Pensare troppo ai watt e ai dati può rivelarsi deleterio, meglio lasciarsi guidare dall’istinto e dal sentimento».

L’attenzione di Aru verso le nuove leve di talento non poteva mancare, con un occhio di riguardo verso il ciclismo sardo in cui ha mosso i primi passi e che, nonostante le difficoltà logistiche, ha sfornato negli anni corridori di talento arrivati sino al Professionismo: l’ultimo, subito dopo Aru, è stato il giovane Orlando Pitzanti che nella stagione 2019-2020 ha militato nella D’AMICO UM TOOLS e con cui il Cavaliere dei Quattro Mori si è trovato alla partenza dei campionati italiani su strada due anni fa nella prova in linea vinta da Davide Formolo sul traguardo di Compiano. «Nella mia Sardegna ci sono due corridori molto promettenti. Uno è Gabriele Porta giunto quattordicesimo al Giro d’Italia Under 23, l’altro è di origini sarde, il papà è olbiese, ed è Alessandro Fancellu  a cui faccio i miei migliori auguri di buona ripresa dopo l’incidente di cui è stato vittima».

Rimorsi? Frasi cariche di acrimonia? Nulla di ciò interessa Fabio Aru, un ragazzo semplice e riservato che non sempre è stato capito, ritrovandosi bersaglio di chi si nasconde dietro una tastiera per far valere la sua opinione e di chi ha cercato pubblicità e scoop fasulli dietro le sue difficoltà. Prima di salutare e concedersi ad altri intervistatori e alle consuete foto di rito, si lascia a un’ultima battuta. «Spero di aver lasciato qualcosa in chi mi ha conosciuto. Sarebbe meglio di qualsiasi vittoria e qualsiasi trofeo».