L’ultima serenata di Fabio Aru, il Cavaliere dei Quattro Mori

Fabio Aru trionfa in cima alla Planche des Belles Filles al Tour de France 2017 (foto: Sunada)
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Certi momenti arrivano inaspettati, silenti ma carichi di forza. Alcune decisioni vengono comunicate all’improvviso ma sono frutto di una analisi certosina. Comprenderle è difficile, accettarle impossibile ma prenderne atto è gesto galante a cui non ci si può sottrarre. Come quella di Fabio Aru di ritirarsi dal ciclismo professionistico al termine della Vuelta di Spagna. Un termine che arriva oggi, nella frazione conclusiva che da Padron condurrà a Santiago de Compostela. Saranno 33,8 i chilometri che il Cavaliere dei Quattro Mori percorrerà prima di congedarsi da un mondo che tanto gli ha dato e tanto lo ha ferito. Come si confà a ogni grande amore. E quello di Fabio Aru per la bicicletta rientra a pieno titolo in questa categoria.

L’orgoglio di un popolo intero

Ciò che ha fatto Aru è andato oltre i confini sportivi, ha oltrepassato il mero risultato di prestigio, il trionfo, la dimostrazione di forza. Ogni suo scatto è stato il grido di un popolo fiero e antico, spesso bistrattato, come quello sardo. Una terra che Aru ha sempre portato con sé, nonostante il distacco che, inevitabilmente, ha dovuto patire per seguire il sogno di diventare un corridore professionista.

Tra la sua gente, tifosi, amici e parenti, aleggia una malinconia particolare, quasi irreale. «Mi fa strano sapere che non gareggerà più, è una sensazione difficile da spiegare», sospira il fratello Matteo. «Mi sembra ieri che Fabio gareggiava in Sardegna, i primi esordi a livello nazionale, le prime soddisfazioni. Ci sono state tante gioie: i podi al Giro d’Italia, la vittoria alla Vuelta, le Olimpiadi, la maglia gialla al Tour. Viverlo in prima persona è stato emozionante ma anche complesso: un familiare ha sempre delle preoccupazioni, è inevitabile. Col senno di poi avrei voluto, forse, godermi di più i successi di Fabio ma sono contento ugualmente. Ha fatto e dato tanto e questo è ciò che conta».

Ha dato tanto Fabio Aru e, persino i detrattori più accaniti che in questi tre anni hanno pronunciato le peggiori critiche a suo carico, dovranno ammettere che vi è un’apprezzabile nobiltà di stima nel suo abbandono. «Fabio Aru è stato un esempio, la dimostrazione che nonostante le enormi difficoltà con cui si trovano a fare i conti i ragazzi che vivono in un’Isola, è possibile fare grandi cose», sottolinea Pinotto Picciau, storico corridore monserratino, professionista nei primi anni Settanta nella gloriosa scuderia della Jolly Ceramica. «Ho scoperto Fabio con la sua vittoria da Dilettante al Giro della Valle d’Aosta: ricordo molto bene i suoi scatti, le sue rasoiate in salita. Aveva un serbatoio di energia da cui si intravedeva un grande potenziale che poi lo ha portato a realizzare azioni indimenticabili».

Azioni frutto di sacrifici e dedizione, con la spinta dei Quattro Mori su ogni tornante. «Si è messo in gioco», aggiunge Pinotto Picciau, «non ha avuto timore di rischiare. Sarebbe stato bello che il comitato regionale avesse puntato di più sul ciclismo nella nostra terra essendoci un corridore come Fabio ai vertici, aprendo un dialogo con la scuola per fare sì che nuovi talenti potessero seguire il suo esempio. Mi auguro si profili questa opportunità e spero che l’esempio di Fabio possa rappresentare un punto di riferimento per tante nuove leve».

Dagli esordi in mountain bike, passando per il ciclocross e le prime gare in strada, il sorriso dello scalatore di Villacidro è sempre stato quello di un ragazzo umile e riservato, che delle sue radici ha fatto punto di forza. «Il contributo di Fabio al ciclismo sardo è stato immenso», aggiunge Gino Mameli, storico organizzatore del Giro di Sardegna nel 1996 e nel 1997, nonché primo iscritto al Fan Club di Fabio Aru. «Lo conobbi nel 2008 quando ancora non era nessuno ma già si intravedeva un bel talento. Per lui mi sono commosso, i suoi attacchi nella corsa rosa del 2014 con cui si rivelò sono indimenticabili. Certo, la speranza sarebbe stata quella di vederlo correre ancora ad alti livelli ma se questa è la sua decisione deve essere rispettata. Spero rimanga nell’ambiente del ciclismo e trasmetta la sua esperienza ai più giovani».

Duro mestiere il ciclismo: asciuga i polmoni e le viscere, sa elevare nei giorni tumultuosi della gloria e sa respingere quando le circostanze si fanno dure e arcigne come le montagne. «Aru è andato oltre lo sport: ha catapultato la Sardegna in un palcoscenico di assoluta caratura  dove nessuno era mai arrivato», conclude Pietro Picciau, storico cronista de L’Unione Sarda e profondo conoscitore del ciclismo di cui è stato cantore. «La sua storia va oltre i risultati, va oltre i successi e le sconfitte di cui tanto si è parlato, talvolta impropriamente.  Ora che sta uscendo di scena è bello ricordare i momenti belli, accantonando la delusione. La sua è la storia di un ragazzo capace di oltrepassare limiti e difficoltà geografiche, portando al successo un’Isola intera. Merita un lungo applauso e un grazie».

L’atto finale

Manca poco oramai, giusto qualche ora: Fabio Aru partirà per novantunesimo oggi, alle 18.32. A Santiago de Compostela scenderà di sella per l’ultima volta. Sarà questa la sua ultima serenata. Una serenata che tocca la sfera del cuore, della nostalgia, dei ricordi. Una serenata che non può essere misurata in pedalate e scatti. Verrà pronunciata senza clamore ma come un sussurro delicato e struggente. Profuma di una Sardegna di crepacci e alberi secolari, di fiumi e di montagne. Come quelle amate da Fabio Aru, in cui si è elevato realizzando uno spettacolo che ha reso grande la terra che lo ha partorito. La terra che non dimenticherà il suo percorso e sarà pronta ad accoglierlo per far sentire sul suo volto una carezza soffice e dolce capace di farlo sentire a casa, nonostante la lontananza. La terra e il porto sicuro di un ragazzo timido dai modi gentili, bandiera di una Sardegna che profuma di orgoglio e poesia.