Subito dopo aver tagliato in quinta posizione il traguardo della penultima tappa del Giro d’Italia Under 23 2021, nella testa di Edoardo Sandri rimbalzava soltanto una parola: finalmente. «In un minuto, tra un sorso d’acqua e l’altro, ripensavo agli ultimi dieci anni: ai sabati sera a letto presto, alle volte che sono tornato dagli allenamenti con la nausea, ai sacrifici che fanno i miei genitori per permettermi di realizzare il mio sogno. Finalmente tutto questo iniziava ad aver un senso».
Tutta questa enfasi per un quinto posto di tappa?, diranno alcuni. Sì, e più che giustificata. A giugno Sandri aveva ancora 19 anni e al Giro ha iniziato a mettersi in mostra quando sono arrivate le ultime tappe, quelle più dure. Quel giorno gli sono arrivati davanti alcuni dei migliori dilettanti al mondo: Voisard, il vincitore; Ayuso, la maglia rosa; Johannessen, che ha vinto l’Avenir meno di due settimane fa; e Vandenabeele, sul podio finale delle ultime due edizioni del Giro.
Ma più di ogni altra cosa, Sandri quel giorno rimase stupito dalla reazione del suo corpo: era convinto d’aver dato tutto, invece sul Nevegal ha capito che quasi sempre si può dare più di quello che si dà.
«E’ proprio questo uno dei miei difetti – dice Sandri – Non credo abbastanza in me stesso e questo, probabilmente, non mi permette di attingere a tutte le mie energie. E’ difficile da spiegare, è come se sapessi d’andare abbastanza forte e poi, ad un certo punto, me ne dimentico. O ancora meglio, vado forte a mia insaputa. E poi me ne pento, perché potevo fare meglio e anche la squadra mi striglia. Però del ciclismo mi piace anche questo: che ogni volta devi trovare i tuoi limiti, non sono mai fissi».
Per diversi anni a Sandri del ciclismo non è interessato niente. Ha giocato un anno e mezzo a calcio, terzino sinistro, ma c’andava per perdere tempo, per non stare fermo, per sperare di divertirsi. Ma lui si annoiava, così smise. Un giorno venne a pranzo nell’agriturismo di famiglia il presidente della squadra di ciclismo della zona – Sandri è di Castel Ivano, in Valsugana. Quell’anno c’era carenza di atleti. «Porta i tuoi nipoti a provare», disse al nonno di Edoardo. Ce li portò e uno di loro da quella volta di bicicletta non ci è più sceso.
«Io – continua Sandri – il ciclismo non lo seguivo mica. Ho iniziato a guardarlo da quel momento in poi. Pantani l’ho recuperato sui libri e su internet, Nibali l’ho tifato e ammirato: mentre io crescevo come ragazzo, lui maturava come campione. Di gare non ho particolari ricordi: però so che mi piace più il Tour del Giro, vai a sapere perché. Al contrario, mi dicono relativamente poco i grandi nomi stranieri: certo, Alaphilippe è un patrimonio del ciclismo, ma io tendo a tifare gli italiani. Con loro sento un legame diverso».
Più che per una qualsiasi forma di passione, Edoardo Sandri è uno scalatore per forza di cose: pesa 56 chili ed è alto 1,72. Gli piacciono le salite lunghe e dure: «vere», le riassume lui con efficacia usando un solo termine. Che sarebbe potuto diventare un ottimo scalatore se ne rese conto quand’era juniores.
«Breve corsa a tappe in Austria, alla fine arrivai terzo nella generale e nell’ultima tappa. A proposito dell’ultima tappa: vado in fuga, mi cade uno davanti, si crea un buco e quindi il gruppo mi riprende. I due attaccanti non li riprendiamo più, sull’ultima salita a scandire il ritmo del gruppo ci penso io. Un mio compagno mi fa: se vuoi passo in testa io e ti lancio all’attacco. Gli rispondo di no, tutto sommato mi sento ancora bene, posso proseguire. Dopo diversi minuti mi rendo conto che alle mie spalle non c’è nessun rumore: mi giro, sono da solo, quasi non ci credo».
Quest’anno, dopo il quinto posto di tappa al Giro, un’altra epifania: la consapevolezza di poter diventare uno dei dilettanti più forti del ciclismo italiano: al Valle d’Aosta è arrivato 14°, a Poggiana 12°, a Capodarco di nuovo 14°. E venerdì comincia il Giro del Friuli, che prevede l’ascesa a Piancavallo nella 2ª tappa.
«E poi per noi è la corsa di casa. Fui io a propormi al Cycling Team Friuli. Mi risposero di sì, che andava bene: sei uno di noi, ricordo che mi dissero. Cosa posso dire, se non che mi trovo benissimo? Andiamo tutti d’accordo, sono convinto che non tutte le squadre possono dire altrettanto. L’ambiente è esigente, talvolta severo, ma sempre comprensivo. Se ho un problema posso parlarne, da tante altre parti si direbbe: ma falla finita, pedala e basta, vedrai che ti passa. Vorrei credere in me tanto quanto ci credono loro».
Stando alle sue parole, Sandri si aspetta tantissimo da se stesso per la prossima stagione: addirittura il passaggio tra i professionisti, ché alla fine l’obiettivo sempre quello rimane. Edoardo dice spesso «quand’ero giovane» riferendosi alla sua infanzia, come se adesso fosse anziano – ha compiuto vent’anni il primo di agosto. E invece è ancora fresco, probabilmente immaturo: e in questo non c’è niente di male, non ne possiamo più di questi ragazzi nati vincenti e già seri, maturi, compassati, equilibrati.
«E io infatti non corro: so di non essere un fuoriclasse, ma sono consapevole del fatto che qualche soddisfazione posso togliermela. Ti dirò di più, nelle giornate in cui non mi alleno, o in quelle in cui esco soltanto un’oretta, aiuto mio padre coi polli. Cosa faccio? Quello che c’è da fare, quello che posso fare. Esattamente come nel ciclismo».












