Damiano Caruso, fatica e sacrifici per un anno indimenticabile. Dal podio al Giro d’Italia alla vittoria di tappa alla Vuelta

Caruso
Damiano Caruso festeggia la sua splendida vittoria alla Vuelta di Spagna (foto: PhotogomezSport)
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Il ciclismo è un mestiere di fatica, di sudore, di sacrifici. Quei sacrifici per cui vale la pena svegliarsi la mattina presto e stare ore in sella a pedalare. Quei sacrifici che Damiano Caruso che conosce alla perfezione e che oggi gli hanno permesso di compiere un’impresa andando a trionfare nella nona tappa della Vuelta di Spagna sull’Alto de Velefique. Partenza da Puerto Lumbreras, 188 chilometri, 4500 metri di dislivello, 4 GPM da affrontare.

L’impresa di Caruso

Caruso è determinato, vuole vincere. Poche parole, nessun proclama, solamente il desiderio di lasciare nuovamente il segno in un 2021 fino a questo momento magico. Ha il fiuto da veterano e capisce che la giornata è buona per entrare in una fuga. Riesce nel suo intento, il momento è propizio. Con lui ci sono corridori solidi quali Bouchard, Majka, Bardet e Amezqueta. Atleti tenaci, che sanno leggere la corsa, ottimi compagni di avventura. I big però non ci stanno e li inseguono: la Ineos tira e si prepara a una battaglia senza esclusione di colpi. A Caruso questo non sfugge: dall’ammiraglia lo avvisano, la tappa è tutta da decidere e non c’è spazio per temporeggiamenti.

Quando mancano 71 km alla fine il ragusano scatta, consapevole che quello sarà il primo passo della sua danza fatta di tornanti, montagne e grida di incitamento. La temperatura è elevatissima, i corridori si bagnano mani e polsi, si fatica tanto. Caruso affronta perentoriamente l’Alto Collado Venta Luisa, per poi buttarsi in discesa a velocità elevata. Corre rischi ma sa di doverlo fare: la vittoria è compagna sfuggente e non aspetta nemmeno il più amato dei suoi pupilli. 

I chilometri passano, le gambe si appesantiscono, Caruso slaccia la cerniera della maglia, digrigna i denti e dà un’occhiata a un paesaggio che gli ricorda la sua amata Sicilia. Cominciano i 13,2 km finali dell’Alto de Velefique, pendenza media del 6,4 %, con 5 minuti e 15 secondi di vantaggio. Da dietro i suoi compagni di fuga vengono pian piano ripresi, tra i big c’è bagarre, la selezione è naturale.

Caruso prosegue, la sua è la storia di Davide che ha studiato le mosse di Golia e di costui non ha timore: soffre quando pedala ma come potrebbe essere il contrario? E’ il prezzo da pagare per uno sport capace di andare ben oltre le due ruote e i risultati. Ai bordi delle strade i tifosi sono in estasi: osservano l’azzurro della Bahrain pedalare con pathos sofferto, lo seguono, lo incitano: ‘’Vamos Damiano, Vamos’’. A 2,3 km la vittoria si posiziona accanto a Caruso e posa la sua mano nella schiena del corridore nostrano: la sua azione ritrova fluidità, la maglia rossa Primoz Roglic ed Enric Mas sono lontani, poco meno di due minuti. Passano i minuti e il siciliano si accorge che non possono riprenderlo, non più oramai: la sua espressione sofferente si tramuta in sorriso, a 300 metri chiude la maglia, alza il braccio destro, si volta verso l’ammiraglia, riprende a guardare avanti a sé per gli ultimi metri mai così lieti. Il ‘’ganador’’ della tappa è lui, il matador delle montagne è un ragazzo da sempre a disposizione degli altri ma capace di ritagliarsi il suo spazio da numero uno.

«Ringrazio tutti i tifosi e la mia famiglia. Davvero, grazie infinite». Poche parole, semplici, umili, spontanea come Damiano: un ragazzo dal cuore d’oro, in grado di comprendere la metafora del ciclismo come pochissimi altri. Sale al 15 posto della classifica generale, stamattina era 24, ottiene la maglia di leader della classifica degli scalatori, il suo quarto successo in carriera, il secondo dopo la bellissima vittoria nella Corsa Rosa sull’Alpe Motta. Numeri che dicono poco ma dietro cui c’è tanto. Un tanto fatto di pedalate verso un ideale, verso un sogno, in un ciclismo che seppur mutato è ancora epopea degli umili a cui non smetterà mai di dare ciò che meritano.