TOKYO 2020 / Cavalli: «Le olandesi? Sono superiori, ma noi proveremo a batterle in tutti i modi»

Cavalli
Marta Cavalli, 23 anni, parteciperà per la prima volta ai Giochi Olimpici.
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Nelle due tappe più dure del Giro d’Italia con arrivo in salita a Prato Nevoso e sul Matajur, dietro al terzetto della Sd Worx che ha dominato il podio: Van der Breggen, Moolman e Vollering, c’era sempre lei, Marta Cavalli, cremonese di 23 anni, partita per la corsa rosa con l’entusiasmo di chi sa di avere in tasca il biglietto per Tokyo.

«Alla vigilia del Giro – racconta Marta Cavalli quando ero già a Cuneo per la cronosquadre, ho ricevuto la telefonata di Dino (il Ct azzurro Salvoldi, ndr) che voleva tranquillizzarmi. Stai serena, mi ha detto, ti porto a Tokyo. È stata un’emozione fortissima, come aver ricevuto una scossa, sono partita con una grande grinta e con l’adrenalina che avevo in corpo già il secondo giorno a Prato Nevoso, mi sono presa il mio riscatto».

La partenza con la cronosquadre in effetti è stata problematica: hai forato e hai perso 4 minuti. Se la squadra ti avesse aspettato forse ti saresti potuta giocare il podio, invece hai chiuso al sesto posto nella generale. 

«Sì, in tanti me lo hanno detto. Il fatto è che la nostra la capitana era Cecilie Ludwig, lei è caduta dopo pochissimi metri dal via della cronometro e quando c’è stata la mia foratura era giusto che la squadra non mi aspettasse. Non potevamo immaginare che Cecilie si sarebbe dovuta ritirare per i problemi a una spalla e che io diventassi la donna di classifica…». 

Poi è stato un Giro in crescendo: sulle salite sei rimasta con le migliori.

«Ho ritrovato una buona condizione e le salite così lunghe mi hanno messo nella condizione di dimostrare quanto ho lavorato per migliorare in salita e la passione che ci metto ogni giorno: 14 chilometri di salita sono infiniti, pura sofferenza, anche perché il ritmo imposto dalle olandesi era altissimo».

Ma le olandesi sono veramente di un altro pianeta?

«Finora si sono dimostrate molto superiori, ma il ciclismo è uno sport bellissimo perché nulla è sicuro, quindi noi siamo convinte di poterle battere: ci proveremo in tutti i modi». 

Tecnicamente che tipo di ciclista sei? 

«Io mi definisco un passista scalatore. Me la cavo sul passo e a cronometro, ma per raggiungere un ottimo livello dovrei migliorare un po’ allo sprint, cosa che mi consentirebbe di giocarmela in un arrivo di un gruppetto ristretto di atlete. Questo è il mio obiettivo per il futuro». 

A soli 23 anni andrai alle Olimpiadi, cosa significa per te?

«Quando ho cominciato pedalare a 11 anni, mai avrei pensato di poter arrivare a questi livelli e che un giorno sarei stata tra quelle pochissime ragazze, perché siamo solo quattro, che partono nella gara olimpica. Per me è qualcosa di indescrivibile. Non posso dire che sia un premio alla carriera perché sono giovane, ma all’impegno che metto tutti i giorni, quello sì».

Come immagini l’avventura olimpica?

«Voglio andare a Tokyo serena e godermi l’esperienza: dalla vita nel villaggio alla preparazione della corsa. Alla fine la gara in sé è la cosa più “normale” che facciamo, per quanto sia un appuntamento dal valore inestimabile perché si corre una volta ogni quattro anni, è pur sempre una corsa in bici in cui correrò con le ragazze che conosco e con cui corro tutto l’anno». 

L’ultima domanda riguarda il tuo idolo: Mark Cavendish. È vero che sei diventata una ciclista grazie al lui?

«Sì, è verissimo (ride, ndr). Ho avuto il primo colpo di fulmine guardando una tappa al Giro d’Italia del 2012 che lui vinse in maglia iridata. Io avevo 14 anni e ricordo che sono uscita subito in cortile provando a imitarlo con la mia bici. Sono contentissima che sia tornato a vincere al Tour, non l’ho mai incontrato, ma mi farebbe tanto piacere conoscerlo…».