Porte: «Alla Ineos non parto da capitano, ma mai dire mai»

Richie Porte
Richie Porte esulta sul podio finale del Santos Tour Down Under 2020 (foto: Santos Tour Down Under)
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Ci sono quelli belli da vedere in bici e quelli efficaci. Richie Porte appartiene alla seconda classe. Più amarcord, più storica, più operaia. Il tasmaniano davanti al quartier generale della Ineos Grenadiers avrà trovato uno striscione con sopra scritto: «Welcome Back, Richie». Quattro stagioni non si dimenticano facilmente: dal 2012 al 2015 Porte ha lasciato le prime impronte nel ciclismo dei grandi. Due trionfi alla Parigi-Nizza, una Volta ao Algarve, i campionati nazionali a cronometro, la Volta Ciclista a Catalunya e il Giro del Trentino.

Da adesso torna a casa e festeggerà alla corte di Dave Brailsford il compleanno, visto che il 30 gennaio prossimo soffierà su trentasei candeline. Cresciuto ciclisticamente in Italia con la Sammarinese Gruppo Lupi, la Mastromarco, la Praties e la Bedogni, dopo aver dato prova dei suoi numeri alla Saxo Bank al Giro d’Italia 2010 – ha trascorso un quadriennio alla Sky, tre anni alla BMC e due alla Trek, togliendosi soddisfazioni di squadra e finalmente nel 2020 anche personali: il podio al Tour de France 2020 l’Oscar alla Carriera di Porte, seconda punta e gregario deluxe.

Porte: «Alla Ineos un ritorno gradito, sarò di supporto ai compagni»

Il corridore di Laucenstone ha spiegato i motivi del suo nuovo approdo al Dream Team britannico: «Ho firmato con la Ineos per essere di supporto agli altri, ma penso allo stesso tempo che se posso tornare a una gran condizione ed essere là davanti, farci un pensierino non guasterebbe. Non sai mai cosa può succedere nelle corse. Ora il mio grande obiettivo non è andare a fare il capitano in un Grande Giro, ma penso che arrivandoci in uno stato di forma ottimale avrei la possibilità di giocare un ruolo tattico diverso, in base alle esigenze del team. Ritengo che la Ineos cambierà il proprio modo di correre nei Grandi Giri. L’abbiamo visto al Giro d’Italia vinto da Geoghegan Hart e lo vedremo ancora. Quando affronti squadre come la Jumbo o un corridore come Pogacar, non puoi giocarti la vecchia carta del team più forte in corsa per batterli. Devi colpirli attaccando, facendo corsa dura».

Richie Porte ha sottolineato anche l’aspetto ambientale, decisivo nella sua scelta: «Da quando ho lasciato il team nel 2015 siamo rimasti buoni rapporti. Dave Brailsford mi ha detto che se mai avessi voluto tornare le porte sarebbero state aperte. Non sempre si lascia così una squadra. Lo so per certo, in un paio di team non credo che sarei riaccolto a braccia aperte. Nel ciclismo professionistico funziona così, come probabilmente in ogni altro sport. Ma la felicità raggiunta qui alla Ineos, non l’ho riscontrata altrove: loro, nel 2016, sapevano che avevo bisogno di andarmene per provare a raggiungere i miei risultati per qualche anno. Ora sto finalmente tornando ai miei livelli e non potrei essere più felice. Penso che sia il momento giusto, il supporto e l’esperienza che posso dare ai corridori ha un grande valore».