Il tecnico che lo ha lanciato negli U23… Franceschi racconta Nibali: «Sin da bambino viveva solo per il ciclismo»

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Arrivò dalla Sicilia, Vincenzo Nibali, quando era poco più di un bambino e alla corte di Carlo Franceschi si è fatto uomo. Da Messina alla provincia di Pistoia, alla Mastromarco, agli ordini del suo scopritore, che più di un semplice dirigente, fu un secondo papà di “Enzo” – come lo ha sempre chiamato lui.

Ha la voce rotta dall’emozione quando inizia a raccontare quelle giornate vissute con un giovane Nibali in casa, tutto pane e ciclismo, scuola, cameretta, riposo e poi allenamenti. Sacrifici, mentalità e la sicurezza che un giorno sarebbe diventato un grande campione – perché glielo leggevi negli occhi e lo capivi da ogni piccolo gesto quotidiano.

Dalla Mastromarco sono passati negli anni tanti buoni, a volte ottimi, corridori – Valerio Conti, Alberto Bettiol, Damiano Caruso, Mirko Selvaggi o Paolo Simion – ma per forza di cose, Nibali ha sempre un posto speciale nel cuore di Carlo Franceschi.

Vincenzo Nibali ha corso per la Mastromarco dal 2000 al 2004 prima di fare il grande salto tra i pro.


«Arrivò qui dalla Sicilia che era un bambino» ci racconta Franceschi, il tono impastato dall’emozione che suscitano i ricordi del giovane Nibali. «Per me è stato come un figlio. L’ho tenuto in casa, l’ho educato e lui aveva una sola cosa in testa: il ciclismo. Io e mia moglie ci siamo legati a lui come se fosse un figlio. E lui ricambiava in tutto e per tutto; era un ragazzo che aveva in testa solo la bicicletta.

«Andava a scuola e Empoli, ma di studiare non aveva mica tanta voglia, ma era talmente intelligente che quello che gli spiegavano a scuola gli bastava e lo assimilava. È arrivato qui da noi in Toscana pochi mesi prima dell’inizio del duemila, prima come allievo. Poi dal 2000 al 2004 come tesserato alla Mastromarco: due anni da juniores e due da under 23. All’inizio quando era venuto qui da allievo stava qui un mese, poi tornava giù quindici giorni, faceva su e giù insomma. Poi a fine ottobre 1999 venne qui definitivamente perché si iscrisse a scuola a Empoli, ma noi gli facevamo sentire il calore della famiglia: non gli facevamo mancare nulla.

«Da settembre ad agosto viveva qui e si era ambientato bene. Aveva nella testa solo il ciclismo: andava a scuola, tornava, stava in cameretta a riposare, poi nel pomeriggio andava in bici. Noi lo portavamo sempre con noi, se uscivamo a mangiare una pizza o al ristorante veniva con noi, tante volte diceva : “Sai, Carlo, c’è un compleanno, una festa di miei amici di scuola, che faccio vado?” Vai ti accompagno, gli dicevo io… allora lui ci pensava un attimo e diceva all’ultimo: “no, poi faccio tardi, poi si mangia troppo, meglio che stia a casa”.

«Lui è sempre stato questo: casa e ciclismo. Era già mentalizzato per fare il corridore. Poco dopo il Giro è stato a cena da noi, con la moglie e la bambina, è stato qualche giorno in Toscana perché era un po’ che non ci si vedeva: e noi sapete, siamo legatissimi. Pensate che la sua bambina mi chiama nonno Carlo ed è una cosa che mi fa tanto piacere. Non posso che fargli i miei auguri per questa giornata, ma lui lo sa già: da parte mia e di tutta la mia famiglia e non posso che dirgli di continuare come ha fatto fino a oggi anche quando smetterà. Io penso che avrà ancora due anni di buon rendimento in bici e poi qualsiasi strada prenderà sarà quella giusta e si realizzerà perché è un grande campione».