Ecco il giudizio di Beppe Conti sulla dodicesima tappa del Giro d’Italia, raccolto dal nostro Davide Bernardini.
Beppe, ai fini della generale non è successo niente. Il percorso era disegnato male?
«Il tracciato della “Nove Colli” è questo, prendere o lasciare. Pensavo che col maltempo potesse succedere qualcosa di più, evidentemente mi sbagliavo: queste salite sono troppo facili per i professionisti e le più impegnative erano le prime, quindi quelle più lontane dal traguardo».
Almeida è apparso il più convinto e il più solido dei pretendenti alla maglia rosa. Gli altri peccano d’iniziativa?
«Mancano le sicurezze, non il coraggio. Che senso avrebbe avuto, con un Almeida e una Deceuninck-Quick Step così convincenti, attaccare a sessanta o settanta chilometri dall’arrivo? Ci sono cinque o sei corridori sullo stesso livello e la musica non cambierà fino alla cronometro di Valdobbiadene. A quel punto, chi pagherà un distacco importante non potrà più nascondersi, altrimenti Almeida rischia seriamente di vincere il Giro. Il 2020 è stata una stagione anomala, non scordiamocelo: di riferimenti ce ne sono ancora meno del solito».
Ma Pozzovivo doveva attaccare, a maggior ragione dopo aver mandato i suoi compagni a tirare in testa al gruppo?
«Sì, secondo me sì. Nel ciclismo, se metti davanti i tuoi uomini, significa che hai intenzione d’attaccare: altrimenti perché farli lavorare a vuoto? Dal mio punto di vista, questa non era la tappa più congeniale a Pozzovivo, ma dal momento che ti prendi certe responsabilità il pubblico e gli addetti ai lavori si aspettano qualcosa. Chiudo dicendo che anche Padun, nel finale, si è gestito male: i rapporti lunghi sono sconsigliati nelle giornate di freddo e di pioggia».